Marketing nelle PMI. Introduzione e contesto generale

Del Marketing nelle PMI se ne parla tanto, ma spesso senza uno specifico riferimento al contesto, alla criticità e dimensione organizzativa di questa fondamentale risorsa aziendale. L’obiettivo di questo articolo è quello di presentare un’analisi sull’adozione delle pratiche di marketing nelle piccole e medie imprese italiane, quale è la situazione in termini di presenza di un ufficio o un reparto marketing, correlando l’analisi ai diversi settori, alle dimensioni aziendali in termini di fatturato e al numero dei dipendenti, alla collocazione geografica.

Le piccole e medie imprese (PMI) costituiscono l’ossatura dell’economia italiana, rappresentando oltre il 99% delle imprese attive. Tradizionalmente, molte PMI italiane hanno approcciato il marketing in modo informale e limitato, spesso senza un reparto dedicato. Fino ai primi anni 2000, il marketing nelle PMI era spesso confuso con la sola pubblicità o affidato all’intuizione dell’imprenditore. La presenza di uffici marketing interni era rara: nella maggior parte dei casi era il titolare stesso a gestire le attività promozionali, senza una struttura formalizzata. Vari studi sottolineano come ciò rappresenti un limite strategico e ribadiscono l’importanza di introdurre una gestione di marketing più strutturata anche nelle piccole imprese. Nel corso degli ultimi due decenni, tuttavia, la situazione è gradualmente cambiata. Questo report analizza l’evoluzione dal 2000 a oggi, considerando la diffusione di reparti marketing nelle PMI italiane e l’adozione di strumenti di marketing – specialmente digitali – in relazione al settore, alla dimensione aziendale e all’area geografica.

 

Le attività di marketing suddivise per aree funzionali

Per comprendere appieno l’estensione e la rilevanza del marketing all’interno delle PMI, è utile definire in modo chiaro le attività aziendali che rientrano in quest’area. Il marketing non si limita alla sola promozione o alla vendita, ma abbraccia un insieme articolato di funzioni strategiche, operative, analitiche e relazionali, tutte orientate alla creazione di valore per il cliente e al posizionamento competitivo dell’impresa. Di seguito si propone un elenco strutturato delle principali attività di marketing, suddivise per aree funzionali, che può servire come guida pratica per valutare il livello di maturità marketing di un’organizzazione, assegnare responsabilità interne o costruire un piano di sviluppo coerente con gli obiettivi aziendali.

Marketing Strategico

  1. Analisi del mercato (dimensioni, trend, concorrenza)
  2. Segmentazione del target (individuazione dei gruppi di clienti)
  3. Scelta del target e posizionamento
  4. Definizione del piano marketing
  5. Analisi SWOT e definizione degli obiettivi di marketing
  6. Studio del ciclo di vita del prodotto

Marketing Operativo

Prodotto

  1. Sviluppo e gestione dell’offerta (prodotti/servizi)
  2. Definizione del packaging e del design
  3. Gestione del marchio e del branding
  4. Ideazione di nuove linee o estensioni di prodotto

Prezzo

  1. Analisi della concorrenza e benchmarking
  2. Definizione delle politiche di prezzo (strategie di prezzo, sconti, promozioni)
  3. Gestione dei listini e delle offerte

Distribuzione (Place)

  1. Scelta dei canali distributivi (fisici e digitali)
  2. Gestione della rete vendita e dei distributori
  3. Organizzazione di punti vendita, e-commerce e marketplace

Promozione

  1. Campagne pubblicitarie online e offline
  2. Gestione dei social media
  3. Content marketing (blog, video, infografiche)
  4. Email marketing e newsletter
  5. Sponsorizzazioni e partnership
  6. Eventi, fiere e promozione sul territorio
  7. Attività di PR e media relations
  8. Influencer marketing

Marketing Analitico e Digitale

  1. Monitoraggio KPI e reportistica (es. ROAS, CAC, LTV)
  2. Web analytics e comportamento utenti (es. Google Analytics, Hotjar)
  3. A/B test su creatività, offerte, landing page
  4. SEO (ottimizzazione per i motori di ricerca)
  5. SEM (campagne Google Ads e simili)
  6. Gestione CRM (Customer Relationship Management)
  7. Automazione marketing (es. funnel e workflow email)

Customer Experience e Post Vendita

  1. Analisi della customer journey
  2. Gestione della customer satisfaction (es. sondaggi, NPS)
  3. Fidelizzazione (es. loyalty programs)
  4. Customer care e gestione delle recensioni

Formazione e cultura aziendale

  1. Formazione interna su marketing e comunicazione
  2. Allineamento tra marketing e vendite (smarketing)
  3. Internal branding (comunicazione interna coerente con l’identità aziendale)

 

Diffusione di uffici marketing nelle PMI

Le PMI italiane per lungo tempo hanno raramente avuto un ufficio marketing dedicato. Ancora oggi molte piccole aziende ne sono sprovviste: diversi osservatori evidenziano che “la maggior parte delle PMI non ha un ufficio Marketing”, delegando tali funzioni ad altre figure o al titolare. In effetti, soprattutto nelle micro e piccole imprese, il marketing è gestito direttamente dall’imprenditore o da manager polivalenti, senza personale specializzato. Solo con la crescita dell’azienda si cominciano a sperimentare tecniche di marketing più avanzate e a sviluppare competenze strutturate in questo ambito. Nelle medie imprese (tipicamente 50–249 addetti) è più frequente trovare un responsabile marketing o un piccolo team dedicato, mentre nelle imprese di dimensioni minori spesso manca una funzione marketing formalmente identificata. Un’analisi qualitativa indica che persino tra le PMI che hanno istituito un “ufficio marketing”, nel 87% dei casi manca chiarezza su obiettivi e risultati attesi da tale funzione, segno di una maturità ancora insufficiente.

Dal 2000 a oggi si è comunque osservato un lento ma significativo cambiamento culturale. Se nei primi anni 2000 la parola “marketing” era quasi un’eresia per molti piccoli imprenditori italiani, nel corso degli anni 2010 la crescente competizione e la rivoluzione digitale hanno spinto sempre più PMI a riconoscere il valore di un approccio marketing più strutturato. Secondo ricerche condotte dopo la crisi economica del 2008–09, un numero crescente di PMI ha iniziato a investire in marketing strategico, pur restando spesso su basi tattiche. Oggi molte PMI comprendono l’importanza di attività come la pianificazione del marketing, il branding e la comunicazione omnicanale; tuttavia, l’adozione rimane eterogenea e correlata alla dimensione aziendale. In sintesi, le PMI medio-grandi e orientate ai mercati internazionali mostrano una maggiore propensione a dotarsi di competenze e strutture di marketing, mentre le micro-piccole, specialmente se a conduzione familiare, tendono tuttora a gestire il marketing in modo informale. I limiti di budget e competenze interne restano fattori chiave: molte PMI non si “possono permettere” un team marketing interno a tempo pieno, e spesso ricorrono a consulenti esterni o agenzie per esigenze specifiche. Negli ultimi anni sono nate anche soluzioni di outsourcing (uffici marketing esterni “on demand”) per rispondere a questa esigenza delle PMI.

Settore di appartenenza e orientamento al marketing

L’adozione di pratiche di marketing varia sensibilmente in base al settore in cui opera la PMI. In generale, i settori B2C e quelli a più alto contenuto di servizio tendono ad investire di più in marketing e comunicazione rispetto ai settori manifatturieri tradizionali o alle costruzioni. Ad esempio, le imprese del commercio e del turismo sono da sempre più attente al marketing promozionale, mentre molte PMI manifatturiere hanno storicamente privilegiato l’aspetto produttivo e le relazioni di vendita dirette, sottovalutando le attività di marketing strategico.

Con la diffusione del marketing digitale, queste differenze settoriali si sono accentuate: nel 2023, la quota di PMI che utilizza almeno un social media per scopi aziendali è dell’85,3% nel settore alloggio e ristorazione (turismo), e del 69,2% nel commercio, valori nettamente superiori alla media nazionale. Al contrario, in comparti come la manifattura o le costruzioni l’utilizzo dei social è molto più limitato (attorno al 45–50%). La tabella seguente illustra alcune differenze tra settori nell’uso di strumenti di marketing digitale da parte delle PMI (imprese 10–249 addetti):

Tabella 1 – Utilizzo di social media e vendite online nelle PMI italiane (anno 2023) per settoreistat.itistat.it

SettorePMI con uso di social mediaPMI con vendite online ≥1% fatturato
 Manifatturiero (C)50,6%10,3%
 Costruzioni (F)44,5%3,4%
 Commercio (G)69,2%19,7%
 Trasporti e magazzinaggio (H)37,5%9,9%
 Alloggio e ristorazione (I)85,3%30,9%
 ICT e comunicazione (J)68,4%14,3%
 Servizi professionali (M)54,4%6,3%
Media PMI (10–249 addetti)57,3%13,5%
Grandi imprese (250+)81,4%37,5%

Legenda: la colonna “uso di social media” indica la percentuale di imprese che utilizzano almeno un social (es. Facebook, LinkedIn, ecc.) per attività aziendali; la colonna “vendite online ≥1%” indica la percentuale di imprese che ricavano almeno l’1% del fatturato da vendite via web.

 

Come si evince, turismo e commercio sono i settori dove le PMI hanno maggiormente adottato strumenti di marketing digitale, con una forte presenza sui social e una discreta incidenza dell’e-commerce. Invece, settori come edilizia, trasporti e alcuni comparti industriali presentano percentuali molto più basse sia nell’utilizzo dei social che nel ricorso alle vendite online. Queste differenze riflettono sia la diversa natura del mercato (B2C vs B2B), sia un diverso approccio culturale: ad esempio, negli alberghi e ristorazione la visibilità online e il contatto diretto col cliente sono critici, mentre un’azienda edile spesso basa il proprio business su relazioni personali e gare d’appalto, percependo meno l’utilità di social media o marketing pubblicitario.

Va notato che anche nei settori tradizionalmente meno “marketing-oriented” la situazione sta cambiando: ad esempio, molte PMI manifatturiere hanno iniziato negli ultimi anni a investire in marketing internazionale per supportare l’export, partecipare a fiere internazionali e sviluppare brand di nicchia legati al Made in Italy. Inoltre, nuovi settori tecnologici e servizi innovativi (startup digitali, software house, ecc.) – spesso classificati nel macro-settore ICT – mostrano un’attenzione molto alta al marketing, in media paragonabile a quella delle grandi imprese.

 

Dimensione dell’impresa e funzioni di marketing

La dimensione aziendale risulta un fattore determinante nell’adozione di pratiche di marketing strutturate. Le imprese più grandi all’interno del mondo PMI tendono ad avere competenze e reparti dedicati, mentre le più piccole rimangono spesso indietro. Secondo ISTAT, “le più piccole (10-49 addetti) presentano un minore grado di digitalizzazione rispetto alle altre”. In pratica, all’aumentare del numero di dipendenti e del fatturato, cresce la probabilità che l’azienda abbia un ufficio marketing o almeno un responsabile marketing. Nelle microimprese (meno di 10 addetti) è quasi inesistente una funzione marketing formalizzata, data la scarsità di risorse e la gestione famigliare: il proprietario accentra su di sé le decisioni commerciali e promozionali. Nelle piccole imprese (10-49 addetti) iniziano a comparire figure dedicate (ad esempio un addetto marketing/comunicazione), ma spesso il marketing è ancora gestito in modo ad hoc. È nella fascia medio-piccola (50-249 addetti) che vediamo più frequentemente strutture organizzative: molte medie aziende italiane hanno ormai un ufficio marketing o comunicazione, sebbene di dimensioni ridotte (tipicamente 2-5 persone), e tendono a pianificare con maggiore formalità le attività (ricerche di mercato, piani media, CRM, ecc.).

Le differenze di approccio strategico al marketing e al digitale sono marcate: uno studio dell’Osservatorio Innovazione Digitale PMI (Politecnico di Milano) sulle imprese manifatturiere evidenzia che solo il 14% delle PMI analizzate ha un approccio pienamente strategico al digitale (cioè integra il digitale in tutti i processi chiave, marketing e vendite compresi) – tipicamente si tratta delle aziende più strutturate, non familiari, spesso al Nord e orientate all’export. La maggioranza (57%) adotta invece un approccio “tattico”, utilizzando il digitale (e per estensione il marketing digitale) in modo mirato solo per alcuni obiettivi specifici. Un restante 29% è ancora in una logica reattiva o minima, investendo pochissimo e solo se stimolato da esigenze esterne. Questo dato riflette bene la varietà all’interno del mondo PMI: da un lato PMI evolute e più grandi che pianificano marketing e trasformazione digitale in ottica di lungo periodo, dall’altro piccole imprese che ancora vedono il marketing soprattutto come costo e tendono a intervenire solo quando necessario.

Va inoltre segnalato che le risorse investite in marketing crescono con la dimensione: aziende più grandi hanno budget maggiori. Un’indagine recente mostra che mentre imprese medio-grandi (fatturato >50 milioni) hanno ormai integrato massicciamente il digitale (il 71% di esse si dichiara “convinto” del digitale), circa la metà delle PMI più piccole è ancora scettica e considera il digitale “una spesa aggiuntiva spesso inutile”. Di conseguenza, molte micro-piccole investono meno di 10 mila euro annui in attività digitali e marketing, segno di budget molto limitati. Invece, il 67% degli imprenditori dichiara oggi di dedicare tempo (seppur sporadicamente) alla formazione sulle strategie digitali, in crescita del 20% rispetto al 2019: questo indica una maggiore consapevolezza emergente, anche se non sempre accompagnata da investimenti adeguati.

 

Adozione degli strumenti di marketing digitale

Negli ultimi vent’anni, uno dei cambiamenti più rilevanti nelle PMI italiane è stata la digitalizzazione del marketing. Agli inizi degli anni 2000, il marketing delle PMI era basato quasi esclusivamente su strumenti tradizionali: passaparola locale, volantini, Pagine Gialle, fiere di settore e al massimo siti web vetrina rudimentali. La penetrazione di Internet era limitata e pochissime PMI avevano presenza online. Da allora, la crescita è stata esponenziale: la maggior parte delle imprese oggi dispone di almeno uno strumento digitale per farsi conoscere (sito web, profili social, e così via), anche se permangono ritardi rispetto ad altri Paesi UE.

 

Sito web – La creazione di siti web aziendali da parte delle PMI italiane è aumentata costantemente. Nel 2010 circa il 61% delle imprese con almeno 10 addetti possedeva un proprio sito Internet. Questa quota è salita a poco più del 70% nel 2017, segno di un forte avanzamento in soli sette anni. Entro la fine degli anni 2010, la percentuale si è avvicinata all’80%, e ulteriormente cresciuta negli anni successivi. Ormai avere un sito web è considerato quasi imprescindibile: molte PMI lo usano come vetrina dei propri prodotti/servizi e per fornire informazioni di contatto. Secondo un osservatorio recente, l’88% delle PMI intervistate utilizza attivamente il sito web come canale di comunicazione principale verso i clienti. Resta comunque una minoranza (soprattutto microimprese locali) ancora priva di presenza sul web, o limitata a pagine social.

 

E-commerce – L’utilizzo del canale e-commerce ha visto progressi più lenti. Nel 2000 era pressoché inesistente tra le PMI; attorno al 2010 solo il 5% delle PMI con 10+ addetti vendeva online. Da allora c’è stato un raddoppio: nel 2017 la quota è salita attorno al 10%, e in tempi più recenti (2022–23) circa il 13-14% delle PMI genera almeno una piccola parte del fatturato tramite web. Siamo comunque su livelli modesti, inferiori alla media UE (ad es. nel 2017 la media europea era ~16%). I settori con più e-commerce fra le PMI sono quelli consumer: turismo (31% delle PMI di alloggio/ristorazione ricava almeno l’1% via web) e commercio (20%), mentre manifattura e servizi alle imprese hanno percentuali basse (spesso sotto il 10%). L’accelerazione maggiore si è avuta attorno al 2020, quando la pandemia Covid-19 ha spinto anche molte PMI a sperimentare vendite online o quantomeno a digitalizzare parte del processo di vendita. Nonostante ciò, l’e-commerce per molte PMI rimane un canale complementare: solo poche realtà (es. retail specializzati, moda, alimentare tipico) hanno implementato veri shop online di successo, mentre le altre utilizzano piattaforme terze (marketplace) o vendono online in modo saltuario.

 

Social media – L’ascesa dei social network ha trasformato il modo di fare marketing anche per le piccole imprese. Nel 2005 strumenti come Facebook erano appena nati e praticamente nessuna PMI italiane li utilizzava a scopo business. Intorno al 2010–2011 le aziende pionieristiche hanno iniziato ad aprire pagine Facebook o account LinkedIn, ma si trattava di una minoranza. I dati mostrano che nel 2014 solo il 32% delle imprese con 10+ addetti usava almeno un social media, percentuale salita al 37,3% nel 2015. Da lì la crescita è continuata: oltre metà delle PMI italiane (circa 57% nel 2023) utilizza oggi i social media per interagire con clienti o fare marketing. Le piattaforme più impiegate sono Facebook e Instagram per il B2C, LinkedIn per il B2B, seguite da YouTube e, in misura minore, Twitter. L’uso dei social è spesso finalizzato ad attività promozionali e di branding locale: circa il 30% delle imprese li utilizza espressamente per finalità di marketing e pubblicità. La maturità nell’uso dei social varia: molte piccole imprese li usano in modo basilare (pubblicando contenuti saltuariamente), mentre altre – spesso realtà più giovani o guidate da nuove generazioni – hanno strategie social ben definite (calendari editoriali, campagne sponsorizzate, customer care via social, ecc.). È interessante notare che anche qui il divario dimensionale e settoriale conta: come visto, le PMI del turismo arrivano all’85% di adozione social, mentre nelle costruzioni meno di 1 su 2 è presente online. Inoltre, le grandi aziende superano l’80%, segno che al crescere della dimensione aumenta anche la probabilità di usare più canali social in modo intensivo. Va aggiunto che una parte delle PMI (circa il 28%) utilizza due o più social media in parallelo, indice di una strategia digitale più articolata.

 

Email marketing e CRM – Tra gli strumenti digitali “classici” c’è l’e-mail, che molte PMI hanno adottato già dagli anni 2000 per comunicazioni commerciali. L’email marketing (invio di newsletter, DEM, offerte ai clienti) è stato inizialmente utilizzato in modo spontaneo e non tracciato; oggi è divenuto più strutturato grazie a piattaforme dedicate anche a piccole imprese. Non disponiamo di un dato preciso di quanti lo usino regolarmente, ma l’email rimane uno strumento diffuso per mantenere il contatto con la clientela, specie in settori B2B. Collegato a ciò è l’adozione di CRM (Customer Relationship Management) software: sistemi per gestire database clienti, tracciare interazioni e personalizzare le comunicazioni. Questo è un ambito dove le PMI italiane mostrano ancora ritardi: nel 2015 circa il 30% delle imprese (10+ addetti) utilizzava software per condividere informazioni sui clienti internamente. Tuttavia, considerando solo le PMI, la quota effettiva risulta più bassa: dati più recenti indicano che solo il 19,2% delle PMI italiane impiega soluzioni CRM dedicate, a fronte di oltre il 50% delle grandi aziende. Questo gap evidenzia come molte piccole imprese gestiscano ancora i contatti clientelari in modo informale (es. fogli Excel, rubriche personali) invece di usare strumenti integrati. Chi invece ha implementato un CRM ne trae vantaggi in termini di marketing mirato (ad esempio campagne email segmentate) e fidelizzazione. Accanto ai CRM tradizionali, iniziano a diffondersi piattaforme in cloud accessibili alle PMI, spesso integrate con funzioni di e-mail marketing e analisi dati.

 

Altri strumenti digitali – Oltre ai canali citati, le PMI italiane hanno progressivamente adottato ulteriori strumenti di marketing digitale: ad esempio, motori di ricerca e SEO/SEM (il 19% delle attività di comunicazione online delle PMI è rivolto a campagne SEM – search engine marketing – e un 15% a strategie di SEO), nonché la pubblicità online. Su quest’ultimo fronte, un’indagine di qualche anno fa indicava che circa il 57% delle PMI investiva in pubblicità online, ma spesso con budget limitati; all’interno di questa percentuale, il 21% del totale PMI utilizzava inserzioni sui social media e un 36% utilizzava altre forme di advertising online (banner, Google Ads, ecc.). Anche qui i numeri sono in crescita costante, specie mano a mano che la pubblicità digitale si dimostra efficace e misurabile. Inoltre, va menzionato l’uso di analytics e Big Data: ancora minoritario nelle PMI (solo il 26,6% delle PMI analizza regolarmente dati interni o esterni per decisioni), ma destinato ad aumentare con la diffusione di strumenti semplici e a basso costo.

 

Complessivamente, il livello di digitalizzazione del marketing nelle PMI italiane è migliorato nettamente dal 2000 a oggi, pur restando su livelli medio-bassi in confronto alle grandi imprese o alle PMI di alcuni Paesi europei più avanzati. Secondo l’indice Digital Intensity della UE, circa il 60% delle PMI italiane ha raggiunto almeno un livello base di digitalizzazione nel 2023, ma solo una minoranza adotta tecnologie digitali avanzate (es. solo il 5% delle PMI utilizza l’Intelligenza Artificiale). In ambito marketing, ciò si traduce in una situazione dove quasi tutte le PMI dispongono ormai di strumenti digitali fondamentali (internet, sito, email)oltre metà utilizzano i social media, ma meno di una su cinque sfrutta appieno strumenti più sofisticati come CRM, automazione marketing o data analytics.

Un indicatore interessante è la distribuzione del budget di marketing tra canali tradizionali e digitali. Negli anni 2000 quasi tutto il budget promozionale delle PMI andava su mezzi classici (stampa locale, fiere, cataloghi, spot radio locali). Oggi la situazione è più bilanciata: recenti stime indicano che circa il 42% del budget promozionale delle PMI è destinato al marketing digitale, mentre il restante 58% rimane su canali tradizionali. Questa ripartizione evidenzia come il digital marketing abbia conquistato una fetta significativa degli investimenti anche tra le PMI, pur non avendo ancora superato in valore assoluto i canali offline. Ciò dipende in parte dalla natura locale di molte PMI (che continuano a privilegiare canali personalizzati, eventi sul territorio, etc.), ma la tendenza è verso una crescente integrazione: si pensi che fino a 10 anni fa la quota digitale era probabilmente inferiore al 10-20%.

 

Differenze geografiche (Nord, Centro, Sud)

Il panorama italiano delle PMI presenta marcate differenze territoriali nell’approccio al marketing e al digitale. Storicamente, il tessuto imprenditoriale del Nord Italia (in particolare Nord-Ovest e Nord-Est) è risultato più dinamico e aperto all’innovazione rispetto a quello del Sud e in parte del Centro. Questo si riflette anche nell’adozione di pratiche di marketing moderne: le PMI del Nord tendono ad avere maggiore presenza di funzioni marketing, più investimenti in comunicazione e un uso più intensivo dei canali digitali, mentre al Sud si registrano mediamente ritardi e una minore penetrazione di tali pratiche.

Già nel primo decennio 2000 era evidente un digital divide Nord-Sud: un rapporto UniCredit del 2012 sottolineava come il divario fosse “consistente, più significativo al Sud che al Nord”, con il Mezzogiorno in ritardo sia nelle infrastrutture Internet sia nell’utilizzo della rete da parte di cittadini e imprese. In particolare, mentre al Nord molte PMI avevano già adottato strumenti base (pc, email, home banking, siti web), al Sud queste percentuali erano più basse, e soprattutto risultava scarso l’uso di strumenti avanzati come profili sui social network o pubblicità online.

Un indicatore concreto è la distribuzione dei siti web aziendali per regione: nel 2011, la stragrande maggioranza dei domini Internet .it risultava registrata da aziende/enti del Centro-Nord. Le prime sei regioni per numero di domini .it erano tutte settentrionali o centrali; bisognava scendere al 7º posto per trovare la prima regione del Sud (la Campania). Campania contava ~129 mila domini registrati, seguita in area Sud da Sicilia (~88 mila) e Puglia (~79 mila), numeri nettamente inferiori a regioni come Lombardia (in testa con oltre 400 mila). Anche il numero di provider di servizi Internet attivi era concentrato al Centro-Nord (es. Lombardia 285 registrar accreditati, Toscana 122, Lazio 118, prima regione del Sud ancora Campania con 76). Questo evidenzia come l’ecosistema digitale fosse (e in parte rimane) più sviluppato nelle aree economicamente forti del paese.

Nel corso degli anni 2010 e 2020 il gap territoriale si è attenuato solo parzialmente. Le regioni del Nord, trainate da Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte, hanno consolidato una maggiore cultura di marketing: ad esempio, indagini recenti mostrano che la percentuale di PMI con approccio proattivo al digitale/marketing è massima in Lombardia e Lazio (regioni ricche del Nord e Centro) e minima in alcune regioni del Sud. Le PMI “eccellenti” in termini di marketing e innovazione provengono spesso da distretti del Nord-Est o del Centro-Nord, mentre nel Sud vi sono punte di eccellenza isolate e una lunga coda di piccole realtà più tradizionali. Tuttavia, vale la pena notare che alcune regioni meridionali (come la Puglia e la Campania) negli ultimi anni hanno compiuto progressi grazie a politiche di digitalizzazione e alla spinta di settori come l’agroalimentare e il turismo, dove il marketing digitale è ormai una necessità. Non a caso, molte PMI del Sud in ambito turistico si sono attrezzate con social media, portali di prenotazione e campagne online per raggiungere i mercati globali.

In termini di dati statistici recenti, l’Istat conferma che le imprese meridionali restano meno digitalizzate: l’indice DESI regionale mostra che le regioni del Sud occupano stabilmente gli ultimi posti per utilizzo di Internet e servizi digitali nelle imprese. Per esempio, il tasso di adozione del cloud computing o di software gestionali nelle PMI è significativamente inferiore nel Mezzogiorno rispetto al Nord. Anche la propensione ad investire in marketing riflette questa spaccatura: le spese in pubblicità pro-capite delle imprese sono maggiori al Nord (dove vi è più competizione e mercati più ricchi) e minori al Sud. Ciò detto, il gap generazionale sta colmando parte di quello geografico: le nuove generazioni di imprenditori meridionali, spesso formatisi fuori regione o all’estero, stanno portando nuove idee di marketing nelle PMI del Sud, sfruttando anche la leva del digitale a costi contenuti (social, e-commerce di prodotti tipici, storytelling territoriale). Questo fa sperare in una convergenza futura.

 

Fonti informative e studi utilizzati

La presente analisi ha attinto a una pluralità di fonti. Dati ufficiali sono stati ricavati da ISTAT (indagini “Imprese e ICT” annuali, Rapporto sulla Conoscenza 2018, ecc.), che forniscono percentuali aggiornate sull’adozione di tecnologie digitali e Internet da parte delle imprese italiane. Ulteriori statistiche su PMI e digitalizzazione provengono da Unioncamere (es. il Rapporto PID), nonché da report europei (DESI Index, SBA Fact Sheets). Sono stati integrati studi accademici e tesi di ricerca sul marketing nelle PMI italiane, che aiutano a contestualizzare i dati evidenziando le peculiarità culturali e organizzative (ad esempio la resistenza delle PMI italiane ad adottare approcci manageriali al marketing). Inoltre, si è fatto riferimento a rapporti di settore e osservatori privati, come l’Osservatorio Innovazione Digitale PMI del Politecnico di Milano, indagini di UniCredit sulle piccole imprese, e ricerche di mercato pubblicate su testate specializzate (es. Digital4Corriere ComunicazioniSole 24 Ore). Alcuni casi e testimonianze (blog di consulenti, agenzie di marketing per PMI) sono stati citati per evidenziare opinioni diffuse e dati indicativi sui comportamenti delle PMI. Tutte le fonti utilizzate sono indicate nelle citazioni e contribuiscono a fornire un quadro dettagliato e affidabile dell’evoluzione del marketing nelle PMI italiane dal 2000 a oggi.

 

Conclusioni e prospettive future

In venticinque anni, le PMI italiane sono passate da un approccio al marketing quasi artigianale e istintivo, ad una graduale strutturazione e apertura alle nuove pratiche, in particolare digitali. Nel 2000, parlare di “marketing” in una piccola impresa italiana era raro: le energie erano rivolte al prodotto e alle vendite tradizionali, e mancavano spesso le competenze e le risorse per azioni di marketing pianificate. Oggi, pur con notevoli differenze interne, la maggior parte delle PMI ha compreso che il marketing è un fattore chiave di competitività. Molte hanno iniziato a investire in branding, comunicazione e soprattutto negli strumenti digitali a basso costo (social media, e-commerce, SEO, email) per ampliare la propria visibilità.

dati confermano questo progresso: la presenza online delle PMI è salita dal 60% scarso di dieci-quindici anni fa a oltre il 80% attuale in termini di siti web; l’uso dei social media è diventato comune (oltre metà delle PMI li utilizza); le vendite online, sebbene ancora di nicchia, iniziano a contribuire al fatturato di una PMI su dieci. Permangono, tuttavia, aree di ritardo: la maggioranza delle PMI non dispone di un ufficio marketing dedicato e tende ad usare il digitale in modo parziale, senza integrarlo in una strategia aziendale complessiva. Il divario dimensionale e territoriale rimane evidente: le medie imprese e quelle del Nord trainano l’innovazione di marketing, mentre microimprese e imprese di alcune regioni restano meno coinvolte. Colmare queste differenze sarà cruciale per non lasciare indietro una fetta del tessuto imprenditoriale.

In prospettiva, le sfide per le PMI italiane consistono nel passare da un approccio tattico a uno strategico: investire in formazione marketing, inserire giovani competenze digitali, pianificare a medio termine le attività promozionali e di sviluppo mercato. Le opportunità non mancano – dal marketing digitale a costi accessibili, alle piattaforme che rendono più facile internazionalizzarsi – ma vanno colte con la mentalità giusta. Iniziative istituzionali (come i voucher digitali, i programmi di mentoring, gli hub innovativi) possono supportare questo percorso. Se le PMI italiane sapranno integrare davvero marketing e innovazione nei propri modelli di business, potranno rafforzare la propria competitività sia sul mercato interno che su quello globale, valorizzando al meglio i punti di forza del Made in Italy anche nell’era digitale.

 


 

Fonti: ISTAT – Cittadini, imprese e ICT 2015; ISTAT – Report imprese e ICT 2023; Osservatorio Innovazione Digitale PMI (Polimi) 2020–21; UniCredit – Rapporto Piccole Imprese 2012; Digital4 e CorCom – articoli su digitalizzazione PMI; Tesi e studi accademici sul marketing nelle PMI.